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Finalmente in commercio questo libro, che non esito a definire il più bello che ho letto quest’anno. Magari vuol dire poco perché non è che ne abbia letti molti, ma insomma qualcosa vuol dire. ‘Azzorre’, di Cecilia Giampaoli ed. NEO. Il mitico Stefano Sgambati concorda, e sta chiamando a raccolta le sue truppe e mi ha chiesto perché mi sia piaciuto. Ho risposto ‘è un libro necessario’. Punto.
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… Mi dilungo a proposito di “Azzorre”, Neo Edizioni, di Cecilia M. Giampaoli, iniziato stamane e terminato poco fa.
Faccio fatica a classificarlo, forse è un diario. Poca fiction e tantissima letteratura; la letteratura nelle sue forme più pure, lo stile, la voce, la lingua. “Azzorre” è intriso di stile, la voce della scrittrice è fortissima ma leggera, la lingua è piana ma sa produrre delle immagini complesse e distruttive per bellezza e intensità.
Nel 1989 un aereo partito da Bergamo e diretto in un piccolo luogo delle Isole Azzorre si schianta misteriosamente contro una montagna: muoiono 144 persone. A bordo c’è anche il papà di Cecilia Giampaoli, al tempo bambina, che venticinque anni dopo, da adulta, da scrittrice, da figlia e da orfana, parte per quella stessa destinazione. Perché? Per disvelare, sezionare un dramma, ma non credo per risolverlo, non mi pare fosse questo l’intento: nessuna (spesso noiosa e ombelicale) esigenza “liberatoria”, piuttosto una ricerca altissima, un’indagine autoptica operata non sul corpo del padre defunto ma sul proprio.
Tutto è inondato di grazia, fin dalla confezione: in copertina c’è il volto di Cecilia bambina, abbellita da un taglio di capelli che in un certo momento della lettura ho dovuto riguardare e confrontare con quanto stavo leggendo; nel risvolto della quarta, com’è per tutti i libri Neo., la foto di Cecilia oggi, adulta, e oltre l’ultima pagina del libro un terzo scatto, in bianco e nero, che vi lascio il piacere di scoprire da soli. Quando ci sono arrivato, sono rimasto a osservare l’immagine a lungo, come ogni tanto mi capita di restare immobilizzato davanti ai titoli di coda di un film bellissimo. Questi tre elementi, da soli, già sono una storia.
Ora, è difficile a dirsi, forse anche imbarazzante, visto il tema, ma “Azzorre” è molto divertente, nel senso letterale e letterario, cioè ti porta altrove, le pagine si girano a mulinello. Be’, lo ammetto: ho sempre trovato cinicamente, barbaramente affascinanti le storie intorno agli incidenti aerei: le ultime parole dei piloti, lo spazio fisico che per forza di cose un aereo che collassa o esplode o precipita occupa nel mondo e negli occhi dei testimoni, l’angoscia istantanea, rettiliana di chi intuisce (immagino) l’approssimarsi di una fine violenta e quella lenta, eterna di chi a un certo punto (come? Quando?) viene raggiunto dalla notizia.
“Azzorre” è atroce, duro, ma talmente poco retorico che quasi niente è concesso alla figura del padre (ignoro se tale scelta sia stata autoriale, dunque operata a monte, o se più ragionata, adottata in fase di editing: in entrambi i casi, i miei complimenti ammirati), al punto che quando papà Giuliano compare, grazie a lancinanti e brevissimi tratteggi, l’effetto è potentissimo.
Un’ultima cosa: non ricordo un libro italiano d’esordio in cui l’ambientazione geografica è trattata in modo così convincente. La bellezza del luogo, o la sua cupezza, o il suo mistero è sempre mediato dal punto di vista dell’autrice: non descrizioni di luoghi, ma effetti e conseguenze che quei luoghi producono sui sentimenti di chi li sta osservando.
Fate questo viaggio, capre, fidatevi del vostro bravo pastore <3
«Se potessi smettere di pensare, qui farei esperienza del mondo così com’è».
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