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Azzorre – backstage



Uscita editoriale: 19 giugno 2020, NEO. Edizioni
Il libro è in libreria dal 19 giugno. Puoi trovarlo on-line ☛ QUI 


Il progetto, in fase di ricerca preliminare, è stato presentato la prima volta l’11 maggio del 2014 in occasione di un piccolo festival di filosofia a Pesaro. Il titolo della serata era Traiettorie di ricerca nel progetto artistico, mi trovai a confrontarmi sul tema con il collega e amico artista statunitense Grant Ditzler.

Avevo da pochi giorni ricevuto risposta alla lettera inviata agli indirizzi trovati online (pochi) delle persone residenti sull’isola di Santa Maria delle Azzorre.

«Mi chiamo Cecilia, sono italiana, mi occupo di arti visive, scrivo e faccio reportage. Mi fermerò alle Azzorre per il mese di giugno. L’8 febbraio del 1989 persi mio padre nell’incidente aereo di Santa Maria. All’epoca avevo sei anni. Ho deciso di tornare sull’isola. Cerco ospitalità per il tempo che ti sarà possibile, cerco racconti e testimonianze. Se puoi ospitarmi per qualche giorno o ti ricordi dell’incidente contattatemi. Non parlo portoghese ma sono sicura che con un po’ di inglese, gestualità e gentilezza, saremo in grado di capirci.
In ogni caso grazie.
Cecilia »

«Hi Cecilia, of course, I will be more than glad to give you a place to stay, and help you in what I can. Make your plans but I can assist you in your arrival. I am not from this island, I’m from S. Miguel, but I am sure that I can help you in your trip (perhaps better than a local). I live alone and have a dog, we will be delighted to have you around!!
When the time approaches, remind me you are coming!
If you need anything meanwhile, just ask.
Kisses
Raquel»

Con quest’unico contatto in mano sarei partita di lì a poco per un viaggio che mi avrebbe indubbiamente cambiata.

All’epoca della conferenza al festival non sapevo ancora cosa avrei prodotto. Ero tuttavia certa che si sarebbe trattato di un buon progetto: avevo sentimenti tersi e sarei partita seguendo quella forma di necessità che rende fulgide le azioni compiute.

Avevo da poco ultimato alcuni lavori che mi avevano fatto riconsiderare il senso della mia produzione. Nonostante mi venisse richiesto dal contesto professionale in cui ero inserita (la grafica d’arte: uno dei più tradizionalisti), faticavo sempre più a sentirmi motivata dall’idea di realizzare stampe e disegni con una valenza estetica senza una storia alla base. Per quale motivo dovrei continuare a produrre -oggetti- in un’epoca in cui siamo sommersi di cose? Gli artisti hanno scardinato, disintegrato, reintegrato e addirittura dissolto pressoché tutti gli elementi formali già nel secolo scorso; hanno scavato nel concetto fino a quando -qualcuno dice con superficialità- “non hanno avuto più niente da dire”. Con questi presupposti e in un’epoca tanto complessa, mi sembrava che l’anonimato e addirittura l’astinenza dalla produzione avessero una portata poetica e politica ben maggiore della corsa al fare. Volevo riportare la tecnica e la forma dove credo debbano stare: fra gli strumenti di lavoro. Iniziai a darmi delle linee guida e definii una sorta di policy personale che avrebbe limitato la mia produzione al “necessario” (ciò che arbitrariamente consideravo tale) aprendola al riuso di materiali d’archivio, all’anonimato (inteso in senso letterale o nell’accezione di operazione spogliata dall’essere dichiaratamente artistica) e all’arte relazionale: un’idea insomma di ecologia dell’immagine che volevo trovare il coraggio di difendere dai giudizi più o meno celati che arrivavano da fuori: “Come mai non lavori più? Disegnavi così bene…” / “Usi immagini d’archivio perché non sai scattare una fotografia?” 

Mi sono chiesta se non fosse giunto il momento di provare a spogliare davvero il progetto artistico di ogni forma e autorialità per lasciarlo aderire in modo più onesto e meno pretenzioso con lo scorrere dell’esistenza.

L’esistenza è calibrata dal caos: lo scompiglio portatore di conseguenze incalcolabili che l’universo mette in sé stesso, e gli uomini gli uni negli altri. Sapevo che l’esperienza che stavo andando a fare alle Azzorre mi avrebbe restituito un futuro cambiato, impossibile dire in che modo. Il tempo che avevo davanti, e che oggi già vivo, sarebbe stato condizionato dagli incontri che dovevo ancora fare e, allo stesso modo, il mio irrompere sull’isola avrebbe cambiato la storia di qualcuno. Un capogiro: un riverberare infinito di conseguenze che mi restituiva l’idea di un progetto soffuso, ma dalla portata concreta maggiore di un’opera estetizzante da sintrome di Stendhal. Questo mi sembra tanto più chiaro oggi se penso al figlio che sto aspettando, che non sarebbe dentro di me se non fossi partita.
Quanto detto è vero per tutti e in ogni momento, non è certo necessario ragionarci su per essere parte della catena della causalità. Tuttavia, pensai che, con quel po’ di arbitrarietà che -forse- abbiamo, potevo provare a cambiare metodicamente il corso delle cose sganciando l’anello storto della catena, quello che si era rotto insieme all’aereo di mio padre deviando violentemente l’intero corso della mia esitenza. Avrei provato a sostituire la paura con il coraggio e il risentimento con il perdono. Sarei partita con questo stato d’animo per vedermela con il nodo più stretto della mia storia personale e, una volta sull’isola, avrei seguito il corso degli eventi portando i miei nuovi sentimenti dove il caos avrebbe portato me.
Quello che durante questa operazione avrei prodotto: scritti e immagini, ne avrebbero solo registrato il senso.

Raquel, la ragazza della mail, mi avrebbe fatto notare la sera del mio arrivo che Santa Maria è sufficientemente piccola per essere considerata una “vera isola: una porzione di mondo circoscritta con tutte le sue dinamiche, in cui è facile osservare che ogni cosa è in relazione con le altre”. Era il posto giusto e la sequenza spontanea di incontri fatti l’avrebbe confermato fin da subito.
In viaggio ho scritto e fatto riprese, volevo che il materiale prodotto aderisse con onestà alle cose che mi succedevano intorno e agli smottamenti della memoria e dei sentimenti che mi succedevano dentro.

Ad oggi sono al lavoro sulle riprese. Il diario, che tutti tranne me riescono senza esitazione a chiamare romanzo, esce con il titolo Azzorre il 19 giugno per Neo Edizioni.


“Il passato è passato ma il presente, prima di scivolare indietro anche lui, determina ogni futuro possibile.”

 

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